Emozioni fortissime, trionfali vittorie e cocenti sconfitte, soddisfazioni e delusioni, 16 trofei, di abbracci, lacrime, urla, sorrisi e promesse. Come quella di far parte dei colori nerazzurri per sempre, solo come chi ha saputo scrivere la storia.
Esemplare, iconico, corretto, rispettoso, c’era quando gli avversari sorridevano e c’era, felice come un bambino, quando ha cominciato lui ad alzare i trofei senza volersene mai stancare. Ed era tutto già scritto lì, in questo ragazzo che arriva in ritiro a Cavalese con le scarpe in un sacchetto, comincia l’allenamento e sembra, ricorderà Beppe Bergomi, lo staffettista che gli ha passato il testimone della legacy interista, “Avere la palla incollata al piede”. Avioncito Rambert, che doveva essere l’acquisto principale di quella sessione di mercato e che invece si rivelò una meteora, se ne fece presto una ragione, il mondo del tifo interista non smise, non smette, più di amarlo.
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Un sacchetto di plastica con dentro un paio di scarpe da calcio, il passaporto e tanti sogni. Il luogo è Cavalese, provincia di Trento, dove l’Inter nel 1995 stava svolgendo il suo ritiro estivo. Javier Adelmar Zanetti arrivò così, con un sacchetto in mano e un paio di giornalisti ad aspettarlo, più incuriositi che altro. Era il 28 luglio, e da quel giorno iniziò a costruirsi la leggenda di Pupi. I numeri fissi nel calcio italiano vennero introdotti proprio in quell’estate, e quasi casualmente (Il 3 lo prese Andrea Seno, il 5 Francesco Dell’Anno) il nome sopra la 4 fu quello di questo esterno argentino che, come capì e cantò subito la Nord, “dribblava come Pelè”. La maglia 4 non la indosserà mai nessun altro: il Capitano, come lo apostrofano ancora adesso i tifosi a dispetto di un ritiro avvenuto ormai da quattro stagioni sportive, ha incarnato negli ultimi 20 anni come nessuno i valori simbolo dello sport.