Sforza torna in Germania, mentre a Milano approda Ronaldo, il Fenomeno. Se in campo i due calciatori non hanno mai potuto esprimersi insieme, è per il cinema che, in particolare Sforza viene ricordato a più di vent’anni di distanza. Nel film “Tre uomini e una gamba” di Aldo, Giovanni e Giacomo, Aldo presta al convalescente Giacomo, ricoverato in ospedale, il suo pigiama, la maglia di Sforza perché “quella di Ronaldo era finita”. Una scena diventata culto, citata, ripresa, generazionalmente trasversale. Perché non importa quanto abbia giocato, i gol segnati o quanto sia stato decisivo, tutti ricordano quel ventiseienne arrivato a Milano nell’estate del ’96. Se la dieci era la maglia del Fenomeno in campo, al cinema è stata senza dubbio la numero 21 di Ciriaco Sforza.
La curiosità di capire perché Hodgson, in mezzo a tanti campioni come Bergomi, Zamorano, Ince, Zanetti e Djorkaeff, avesse voluto proprio questo ragazzo di 26 anni è tanta: quel cognome, in quella città , non può essere solo una coincidenza. In campo, però, le cose vanno diversamente dalla trama che avevano immaginato i tifosi, illusi dal pregevole gol da tre punti realizzato all’esordio a Udine alla prima giornata di campionato, unico lampo nelle 26 apparizioni in Serie A. Sforza colleziona in totale 40 presenze, quattro gol e soffre costantemente la coesistenza di Paul Ince, fino all’inevitabile separazione a fine stagione.
La casata nobiliare degli Sforza ha retto il ducato di Milano per quasi un secolo, dalla metà del 1400 al 1535. Ecco perché un cognome del genere a Milano non può passare inosservato. Ciriaco Sforza arriva all’Inter nell’estate del 1996 dal Bayern Monaco per sei miliardi di lire. Centrocampista svizzero di origini italiane, è fortemente voluto dall’allora allenatore dei nerazzuri, Roy Hodgson, una ciliegina sulla torta del presidente Massimo Moratti, l’ultimo acquisto di un mercato fatto per provare a vincere subito.