Al momento di alzare la coppa nella notte di Madrid, Cambiasso non veste la solita 19,  ma una maglia storica: è la numero 3, appartenuta a Giacinto Facchetti e ritirata dal club. Ă il suo modo di festeggiare i trionfi: cosĂŹ il âCuchuâ rimarca il senso di appartenenza alla grande famiglia dellâInter e rende omaggio ai campioni della storia nerazzurra. In quella storia, ora, câè un posto dâonore anche per lui.
Cambiasso si prende presto una maglia da titolare e non la lascia piĂš: passano allenatori e compagni, ma lui resta lĂŹ nel mezzo, a lottare su ogni pallone. Unâintelligenza tattica prodigiosa, la “garra” propria dei mediani sudamericani e un piede che sembra un telecomando sono le armi con cui dirige il centrocampo dellâInter per un decennio. Oltre allâinnato carisma del leader, che gli regala spesso il ruolo di capitano de facto e allenatore in campo: con il passare degli anni, il âCuchuâ diventa la colonna della squadra che domina il campionato e la porta per mano sul tetto dâEuropa e del mondo. Protagonista di tutti i successi nerazzurri, è metronomo e incontrista: accende la luce a centrocampo, poi corre a tamponare ogni falla con tempismo perfetto. E fa gol, spesso fondamentali: il suo sinistro decide, ad esempio, la sfida dâandata degli ottavi contro il Chelsea, primo passo verso la vittoria della Champions nel 2010.
Lâundici settembre 2004 al Bentegodi di Verona câè grande attesa per lâesordio in campionato dellâInter, che sfida il Chievo. Lâestate ha portato un nuovo allenatore, Roberto Mancini, e acquisti di peso come Sinisa Mihajlovic, Juan SebastiĂĄn VerĂłn, Edgar Davids. Passa quasi inosservato il debutto in Serie A di un giovane centrocampista argentino, arrivato a parametro zero e senza troppi proclami: il suo nome è Esteban Cambiasso, ma in patria lo chiamano âEl Cuchuâ perchĂŠ è magro e biondo come Cuchuflito, un personaggio dei cartoni animati. In quello stesso stadio, dieci anni dopo, giocherĂ la sua ultima partita in nerazzurro, con un carico di trofei vinti e imprese da raccontare.