Ronie potrebbe tranquillamente, vista la sua popolarità, candidarsi alle elezioni amministrative a Milano e, sussurra qualcuno, probabilmente le vincerebbe anche. Vederlo giocare è uno spettacolo quasi bipartisan, tanto che non sono rari i casi di tifosi rossoneri presenti a San Siro anche quando gioca l’Inter. La coppa Uefa 1998 è il momento in cui il mondo si accorge, ancora di più, di quale sia inequivocabilmente il giocatore più forte in circolazione. Gli infortuni gravissimi, uno scudetto perso all’ultima giornata, il prosieguo di carriera con maglie diverse dal nerazzurro: nulla riuscirà a scalfire le emozioni di quei cinque anni, quando ci sentivamo tutti come i bambini che lo abbracciarono festosi in quella prima amichevole con il Manchester United, prima folgorante apparizione in nerazzurro.
È come se nel campionato italiano fosse piombato un extraterrestre, capace di calcare i campi a un ritmo insostenibile per gli avversari. San Siro si innamora presto delle sue giocate irreali, degli strappi palla al piede, dei dribbling sontuosi. Ogni volta che Ronaldo tocca palla, il pubblico sospira di meraviglia, esplode di gioia a ogni suo gol. La curva canta “Il Fenomeno ce l’abbiamo noi” e Ronie, nel gennaio del 1998, alza il Pallone d’oro davanti al popolo nerazzurro in delirio. Anche l’avvocato Peppino Prisco, che di fuoriclasse ne ha visti parecchi, si scioglie: “Chiedo scusa ai miei genitori, ma in mezzo alla foto di loro due porto sempre quella di Ronaldo”.
Il 25 luglio 1997 non si gioca nessuna partita, ma centinaia di tifosi invadono il centro di Milano. Affacciato al balcone della sede dell’Inter c’è un attaccante brasiliano, appena comprato dal Barcellona per 51 miliardi di lire. Lo chiamano il “Fenomeno” e non esagerano: Ronaldo Luís Nazário de Lima è in quel momento il miglior giocatore al mondo. Il suo impatto con la serie A è in linea con il soprannome che porta: un’apparizione.