È il 77’ di una partita inchiodata sullo zero a zero: punizione di Fanna dalla sinistra e colpo di testa di Mandorlini che si stampa sul palo. Non è sfortuna, è un’occasione. Giuseppe si fionda sulla palla vagante e la scaraventa in rete con la sicurezza di chi ha vissuto talmente tante volte quella scena nella sua testa che la può replicare anche ad occhi chiusi. È il gol della vittoria. L’Inter batte 1 a 0 il Milan di Nils Liedholm, ma soprattutto il Milan di Berlusconi, al suo primo derby da presidente dei rossoneri. A festeggiare, però, è il ragazzino nato a Mazara del Vallo e cresciuto con l’Inter nel cuore.
Capita a volte che il destino invii dei messaggi nascosti, difficili da decriptare, ma non quel giorno. Rummenigge si infortuna nel riscaldamento e Luciano Marangon, che Corso ha scelto per sostituirlo, si fa male ad una mano alla fine del primo tempo. Così quando l’allenatore chiama Giuseppe, il messaggio è chiaro: è il tuo giorno, meritatelo. E lui, un ragazzo siciliano di 19 anni, cresciuto nel vivaio dell’Inter, che prima di quel derby non ha mai giocato in Serie A, se lo merita. Ha una corporatura esile, è ancora acerbo, ma è in grado di ricoprire tutti i ruoli del centrocampo ed ha una spiccata propensione agli inserimenti senza palla. Corso lo sa bene. Lo ha allenato nella Primavera nerazzurra e, forse, ciò che accade di lì a poco in campo non lo stupisce più di tanto.
Debuttare in un derby a San Siro è un’emozione unica, ma deciderlo ti proietta in una dimensione difficile da descrivere a parole. Così come sarebbe piuttosto complicato immaginare cosa passasse nella testa del giovane Giuseppe Minaudo quando tra il primo e il secondo tempo di un Milan-Inter del 6 aprile 1986 Mariolino Corso, che a novembre ha sostituito Castagner sulla panchina nerazzurra, gli comunica che sarebbe entrato in campo nella ripresa.