Nessun calciatore nerazzurro indosserà mai più la maglia numero 3, ritirata in suo onore nel 2006. Tutti quelli che pensano all’Inter, invece, pensano un po’ anche a Facchetti, la parte migliore di ogni interista.
Settantacinque reti in carriera mise a segno il Cipe, la più bella delle quali al Liverpool, nella semifinale di Coppa dei Campioni del 1965, il gol che completò la rimonta sugli inglesi dopo l’1-3 di Anfield Road. Il 3-0 lo mise a segno Giacinto Facchetti, con un destro dal limite dell’area da campione vero. “Giacinto Magno”, lo definì Gianni Brera, il più grande giornalista sportivo italiano, che ne ammirava fisico e integrità . Dopo una carriera leggendaria, divenne simbolo dell’Inter anche fuori dal campo, diventandone dirigente e poi presidente.
Da qualunque parte la si guardi, la storia di Giacinto Facchetti è esemplare, fulgido esempio di integrità , correttezza e valori morali. Terzino modernissimo per l’epoca, inventò sostanzialmente il ruolo di fluidificante, sorta di attaccante aggiunto che grazie alla falcata da quattrocentista dispiegava la sua potenza nella metacampo avversaria. Helenio Herrera, che stravedeva per lui, ne storpiò una volta il cognome in “Cipelletti”. Il soprannome gli rimase addosso.