Nell’Inter giocò sei stagioni con 216 partite e trenta gol, arrivando alla semifinale di Coppa dei Campioni nell’81 e vincendo la Coppa Italia l’anno successivo. Fece innamorare tutti i tifosi nerazzurri grazie alle sue giocate impossibili. Era uno con il dribbling nel sangue, tanto che Gianni Brera gli diede il soprannome di “Dribblossi”. Tutto questo a discapito della continuità, che probabilmente gli costò il posto nella vittoriosa spedizione spagnola al Mundial ’82. Ma per i tifosi interisti il posto da titolare ce l’ha ancora oggi, con quel sinistro. E probabilmente, nel calcio fisico di oggi, manca a tutti un talento puro alla Beccalossi.
Evaristo con una doppietta di destro, lui che era mancino, fece esplodere San Siro e pose le basi per il 12esimo Scudetto interista. Un campionato vinto da protagonista con sette reti, secondo miglior marcatore dietro ad Altobelli. Ma quel famoso derby sancì anche la nascita di un tormentone. La leggenda narra che il “Becca” a fine partita andò da Albertosi, portiere del Milan, e gli disse: “Mi chiamo Evaristo, scusate se insisto”. “Vecchia storia, carina, mi ci diverto anche io a ripetere quella frase, ogni tanto – racconta lui. – Solo che non l’ho mai detta ad Albertosi a fine partita. È stato qualche mio compagno di squadra, poi però me l’hanno attribuita e a questo punto me la tengo”.
C’erano pioggia e fango e si riusciva a stare a malapena in piedi, non il terreno migliore per uno come lui. E l’Inter non vinceva un Derby da cinque anni. Ma fu proprio quella stracittadina del 28 ottobre del ’79 a fare entrare nei cuori dei tifosi Evaristo Beccalossi, uno dei talenti più cristallini della storia interista. Uno alla Mariolino Corso, per i più anziani; uno alla Alvaro Recoba, per i più giovani.