Djorkaeff è tutto lì. Ed è tantissimo. Tecnica e genialità al servizio dell’istinto puro. Quello che trasforma in azione ciò che le persone normali faticano anche solo a pensare. E nel momento in cui quel pallone entra in rete, è come se tutti già lo intuissero. Non c’è altro da aggiungere. Farlo significherebbe rovinare un’opera perfetta così com’è. La maglia nerazzurra diventa un vestito sempre più stretto. Youri lo sente. Probabilmente lo ha sempre saputo che sarebbe finita così. Per questo non ha mai disfatto la valigia. Lo sguardo è proiettato avanti, l’anima irrequieta di un talento che non ammette confini.
Youri Djorkaeff arriva all’Inter nel 1996 dal Paris Saint Germain per otto miliardi di lire. Nella capitale francese ha già dato un assaggio del suo talento che non rimane inosservato e attira l’attenzione di un uomo che qualche pagina importante nella storia nerazzurra l’ha scritta: Sandro Mazzola. Così Moratti sceglie Youri. Il tempo di sistemare le ultime cose e l’uomo con la valigia è pronto a sbarcare a Milano. La prima stagione è da stropicciarsi gli occhi: 14 gol in 33 partite e alcune perle che valgono da sole il prezzo del biglietto. Come la rovesciata da figurine Panini del 5 gennaio 1997 che stende la Roma a San Siro: un gesto tecnico che fa scattare in piedi la Scala del calcio e che spinge perfino il direttore di gara, Graziano Cesari, a stringergli la mano.
La valigia, in oltre vent’anni di carriera, probabilmente, non l’ha mai disfatta. Sempre pronto per una nuova avventura, alla ricerca di stimoli diversi che potessero assecondare il suo estro. Francia, Italia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti: cinque campionati molto distanti tra loro per cultura e ambiente, ma tutti accomunati dalla stessa fortuna, quella di aver potuto apprezzare quel francese tutto dribbling, fantasia e tecnica.