E pensare che l’Inter lo compra dal Como nel 1958 per fargli fare il terzino: poi, dopo un derby finito male, l’allenatore Cappelli vuole cambiare l’uomo in marcatura e al capitano Giovanni Invernizzi viene l’intuizione di suggerirgli Guarneri in quella posizione. Dal centro della difesa, Guarneri non si sposterà più: insuperabile nel gioco aereo e inscalfibile nei contrasti, affronta senza paura i migliori giocatori del suo tempo. Nelle due finali di Coppa dei Campioni vinte neutralizza Puskás ed Eusebio, in Nazionale esordisce (con vittoria) contro il Brasile di Pelé. E con la maglia azzurra segna un unico gol, ma al miglior portiere del mondo, Lev Yashin. Perché Aristide ha la statura, fisica e morale, per affrontare i miti del calcio e per entrare, da protagonista, nella storia dell’Inter.
In quella retroguardia d’acciaio, completata da Tarcisio Burgnich e Giacinto Facchetti, ad Aristide non servono nemmeno le maniere forti per fermare gli attaccanti avversari. Tempismo e reattività negli interventi, uniti a nobiltà d’animo e correttezza in campo, gli valgono l’invidiabile traguardo di oltre trecento partite giocate in Serie A senza nemmeno un’espulsione e il meritato soprannome di “stopper gentiluomo”.
“Kalos kai agathos”, “bello e buono”, è la formula con cui vengono descritti gli eroi nei poemi dell’epica greca. Una formula che calza a pennello anche per Aristide Guarneri, che di greco ha soltanto il nome proprio, per merito di un padre scultore innamorato dell’arte classica. “Elegante baluardo della difesa dell’Inter mondiale”, lo descrive la stampa dell’epoca, mentre insieme ad Armando Picchi forma la coppia insuperabile che assicura ai nerazzurri trionfi in Italia e in Europa.