Tanto è bravo da entrare nella cultura di massa, diventando il primo calciatore-icona: spot pubblicitari, citazioni nelle canzoni e uno stile di vita da vera star. Sigarette, serate al casinò, macchine costose e belle donne (la notte prima di una partita, narrano le leggende, gli capita persino di addormentarsi in … albergo molto particolare) non gli impediscono comunque di dominare in campo, per tutto il periodo prima della guerra. Fino a diventare, con 284 gol, il miglior marcatore della storia dell’Inter e a meritarsi l’intitolazione dello stadio di San Siro. La sintesi perfetta della sua carriera tocca a un altro Peppino caro ai cuori nerazzurri, l’avvocato Prisco: “Uno così nasce ogni cent’anni”.
Quello, però, non è un ragazzino qualsiasi. E i suoi compagni se ne accorgono presto: tre gol all’esordio, a diciassette anni, poche partite per prendersi la maglia da titolare e un paio di stagioni per diventare il capo-cannoniere del campionato. Tutto ciò che succede dopo, valica il confine della storia per entrare nella leggenda: Meazza è il migliore della sua generazione in Italia e probabilmente nel mondo. Trascina i nerazzurri alla conquista di tre campionati e la Nazionale italiana sul tetto del mondo per due volte. Il “Peppìn” sembra avere la palla attaccata ai piedi con una corda, dicono i tifosi, e la stampa dell’epoca lo celebra senza indugi: la sua tecnica incanta, i suoi dribbling sono opere d’arte, i tiri verso la porta irresistibili saette. Come succede solo ai più grandi, Meazza conia anche un suo marchio di fabbrica, il “gol a invito”, in cui salta agilmente il portiere e deposita in rete.
“Lui è Giuseppe Meazza, arriva dalla giovanile e oggi gioca dall’inizio”. Non si conoscono le parole esatte, ma dev’essere stato questo il senso del discorso dell’allenatore Árpád Weisz a uno spogliatoio sbigottito. È il settembre del 1927, l’Inter sta per cambiare forzatamente il proprio nome in Ambrosiana e uno dei titolari ironizza: “Adesso facciamo giocare anche i balilla?”