L’Italia, però, diventa per la sua famiglia, che ha origini ebree, un posto ostile. E neanche quel calcio al quale ha dato tantissimo riesce a impedire il corso cinico e inesorabile delle leggi razziali promulgate in Italia nel 1938. Si trasferisce prima in Francia e poi in Olanda. Potrebbe sfuggire alla persecuzione scappando in Uruguay, dove ha giocato, ma non lo fa. Nonostante tutto non riesce a rinunciare alla sua passione, convinto che possa salvare la sua vita e quella dei suoi cari. Weisz e la sua famiglia vengono arrestati nell’agosto del ’42 e condotti nel campo di smistamento dei Paesi Bassi di Westerbork, lo stesso da cui passa anche Anna Frank, poi Auschwitz. Elena, Roberta e Clara finiscono nella fila del “Lavatoio”. Weisz, che è stato atleta e calciatore, invece, può ancora essere utile nei campi di lavoro. Anche per lui, però, il destino sarà lo stesso della sua famiglia: camera a gas ad Auschwitz, la mattina del 31 gennaio del 1944.
Ebreo ungherese, è un buon calciatore prima e un grande allenatore poi, uno dei più vincenti dell’epoca. Siede sulla panchina dell’Inter a partire dal 1926 in quella che è la sua seconda vita, preceduta da un’esperienza in Sud America e uno studio matto e disperato di quella che è la sua passione da sempre: il calcio. Arriva in Italia con un bagaglio di conoscenze all’avanguardia. Porta nel nostro Paese il metodo “WM”, un 3-4-3 assai moderno per l’epoca, che riprende simbolicamente la forma delle due lettere. È il primo a intuire il grande genio di Giuseppe Meazza, il primo in assoluto a vincere col sistema del girone unico nel 1930 sulla panchina nerazzurra a 34 anni. Weisz è papà di due bambini: Roberto e Clara avuti dalla moglie Elena. Con loro si trasferisce a Bologna dove fa le fortune anche dei rossoblu che, con lui alla guida, vincono due Scudetti e un titolo europeo.
Il più giovane allenatore a conquistare il campionato italiano – record tuttora imbattuto – maestro di tattica e grande studioso del rettangolo verde. Tutto questo e molto altro è stato Árpád Weisz, prima che il dramma dell’Olocausto lo portasse via, come gli altri sei milioni di ebrei che trovarono la morte nei campi di sterminio nazisti.