Prende l’uomo di maggiore qualità , l’uruguaiano Ruben Sosa, arrivato quasi per caso, e gli costruisce attorno la squadra fino a trovare la quadratura giusta grazie alla quale spaventa l’invincibile Milan di Capello, arrivando quasi a soffiargli il titolo. Recupera 11 punti ai cugini rossoneri, ma non basta. Alla fine risultano decisivi i due derby finiti entrambi in parità e il Milan è campione d’Italia. La stagione successiva è sfortunata e Bagnoli lascia alla quinta di ritorno dopo la sconfitta interna con la Lazio. Al suo posto arriva Gianpiero Marini. Pur non avendo vinto nulla, in un periodo comunque complicato per l’Inter, resta il ricordo dello spessore umano e professionale, certificato da quel soprannome tramandato di generazione in generazione: il mago della Bovisa.
Parlando di uno dei più grandi flop della storia nerazzurra, l’attaccante macedone Darko Pančev, dice che con lui ci vuole pazienza e poi aggiunge: “Ma io sono della Bovisa e non sono mica un pirla”. Tutt’altro. Gianni Brera lo definisce Schopenhauer, come il grande filosofo tedesco. Educato e rispettoso, ma dal carattere genuino, mette il lavoro al primo posto e ha la capacità di tirar fuori da uno spogliatoio un gruppo compatto orientato verso un obiettivo preciso. Come fa quando approda all’Inter che viene da una stagione interlocutoria chiusa all’ottavo posto e scarsa di soddisfazioni.
Forse non tutti sanno che prima di Josè Mourinho, c’è stato un altro allenatore nella storia nerazzurra che ha coniato l’espressione “io non sono un pirla”. Soprannominato il “mago della Bovisa”, oltre che per la sua provenienza, anche e soprattutto per lo scudetto dei miracoli conquistato con il Verona nel 1985, Osvaldo Bagnoli ha guidato l’Inter per quasi due stagioni, dal 1992 al 1994, riaccendendo quello spirito operaio e infaticabile tipico della periferia milanese. E, probabilmente, non c’è nulla come quella frase, ripresa anni dopo dallo Special One, che possa descriverlo meglio.