Aveva grandi doti atletiche e per questo giocò tante stagioni da terzino ma negli ultimi anni si riciclò centrale. E non è un caso se nel ’98 dopo 7 anni di assenza fu richiamato in Nazionale da Cesare Maldini per giocare il suo quarto Mondiale. Il sogno di finire la carriera così come l’aveva iniziata però s’infranse ai rigori con la Francia.
Venti stagioni con la maglia dell’Inter, unica indossata, con cui gioca 756 partite di cui 519 in Serie A. In bacheca un Campionato, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e tre Coppe Uefa. Lo “Zio” è stato una bandiera e uno dei capitani storici dell’Inter, ma se è riuscito a durare così a lungo nel tempo è anche grazie alla sua tenacia e alla sua intelligenza tattica. Perché tra gli anni ’80 e ’90 il calcio cambiò molto. Si passò dalla difesa a uomo, di cui Bergomi era uno specialista, a quella a zona e lui si seppe adattare con ottimi risultati.
“Ma quanti anni hai?” chiese Giampiero Marini, uno dei senatori dell’Inter. “17” rispose lui. “Caspita sembri mio zio – ribatté Marini – con quei baffi poi”. La leggenda di Beppe Bergomi, per tutti lo “Zio”, iniziò così, con una chiacchiera da spogliatoio dell’Inter nei primi anni ’80. Bergomi sembrava già maturo da ragazzo, e forse lo era davvero. A 16 anni rimase orfano di padre e la notizia gli arrivò quando era in ritiro con la nazionale giovanile. A 17 esordì in Serie A e a 18 vinse il Mondiale di Spagna ’82 da titolare. Appena raggiunta la maggiore età aveva già vissuto esperienze di vita e di campo di un veterano. E, invece, era appena agli inizi di una carriera leggendaria.