Annibale, che all’Inter tornerà anche da allenatore, è maniacale nella preparazione delle partite, un precursore dei tempi moderni, un convinto sostenitore della forza delle sue idee che, in qualche caso, lo rendono ostile ad un ambiente che non riesce a stargli dietro e tende a respingerlo. Si inventa il falso centravanti, sostiene che la partita perfetta non possa avere altro risultato se non lo 0 a 0, simbolo dell’equilibrio delle compagini in campo. Eresie per quei tempi e forse già troppo avanti anche per quelli di oggi. Ma lui non si scompone e prosegue, lo sguardo deciso, dietro le spesse lenti dei suoi occhiali.
Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, Annibale: scatto da centometrista, senso del gol, mente raffinatissima che gli ha consentito di diventare uno dei più grandi innovatori del nostro calcio e, soprattutto, una passione smisurata. Per il calcio, che gli evita un richiamo per la campagna d’Abissinia e per i colori nerazzurri. All’Inter arriva a 25 anni, con una medaglia d’oro vinta da protagonista, l’unica nella storia calcistica olimpica italiana. Meazza, Demaria, Ferraris sono lì, insieme a lui, sul rettangolo verde: un sogno impossibile si sta realizzando davanti ai suoi occhi come la trama di un film. Le gambe tremano, il cuore va a mille, ma l’occasione è unica e non bisogna farsi travolgere dalle emozioni.
Annibale Frossi ha avuto così tante vite che provare a racchiuderle tutte in un film o un libro risulterebbe sempre riduttivo. Dalla passione per il calcio nascosta alla madre che lo vuole dottore, all’oro all’Olimpiade di Berlino, alla maglia nerazzurra, passando per l’esperienza in Alfa Romeo, il giornalismo e le pioneristiche innovazioni sulle panchine della Serie A. Tutto questo, rigorosamente, con un solo e unico denominatore comune: quegli spessi occhiali che lo accompagnano ovunque, sin da giovane, a causa della miopia.