Il suo sinistro affilato regala gioia, entusiasmo e trionfi al popolo nerazzurro. Come a Madrid, teatro dello spareggio per la Coppa Intercontinentale del 1964: 0-0 fino al 6’ del secondo tempo supplementare, quando Corso trafigge l’Independiente grazie a un mancino potente e preciso. O come accade durante il derby di ritorno del 1971, decisivo per il recupero sul Milan e la vittoria dell’undicesimo scudetto. Anche in quel caso c’è una punizione dal limite: tutti si aspettano la “foglia morta” e invece Mario sfodera una rasoiata secca sul palo del portiere, che si insacca alle spalle di Cudicini. Per certe magie, basta anche un piede solo.
La punizione a “foglia morta” è il marchio di fabbrica di Mario Corso, il giocatore preferito dal presidente Angelo Moratti, da sua moglie “Lady” Erminia e dal loro quarto figlio, Massimo, fin da allora vittima di un istantaneo innamoramento per i mancini estrosi. Quello di Corso, del resto, non è un piede normale: dopo un match fra Italia e Israele del 1961, il ct avversario lo definisce “il sinistro di Dio”. E pazienza se il suo proprietario è l’incarnazione del binomio “genio e sregolatezza”, un numero 10 travestito da 11 che è croce e delizia di ogni allenatore, al punto che il “Mago” Herrera chiede la sua cessione ogni stagione e puntualmente lo ritrova in ritiro all’inizio della successiva. Corso in quella squadra può concedersi il lusso di giocare con un piede solo (“Meglio che due scarsi”, ama ripetere) e di portare i calzettoni abbassati senza parastinchi, in omaggio al suo idolo Omar Sivori.
Il 12 maggio del 1965 allo stadio di San Siro c’è una partita da vincere e una semifinale da ribaltare: il Liverpool si è imposto 3-1 nella gara d’andata e all’Inter di Helenio Herrera serve un’impresa per raggiungere la finale. All’ottavo minuto viene fischiato un calcio da fermo per i padroni di casa dal limite dell’area. A batterlo va l’ala sinistra e il suo tiro è una parabola dolce e spietata, una morbida carezza che vola sopra la barriera, irraggiungibile per il portiere avversario, che dà il via alla più storica delle rimonte nerazzurre.