Lungo il cammino, Stankovic mette in mostra un’anima da guerriero e la classe di un fantasista: per l’Inter gioca da ala, trequartista, playmaker, mediano di rottura e persino seconda punta. Un soldato sempre in trincea, pronto ad alternare sciabola e fioretto, grinta e colpi da cecchino: il destro dalla distanza che si insacca sotto l’incrocio dei pali è il marchio di fabbrica con cui spacca le partite e le sue doti da tiratore regalano alla storia reti memorabili, come quelle a Genoa e Schalke 04, oltre la riga di centrocampo. Anche per questo, al momento dell’addio, il pubblico di San Siro si commuove: le fiammate del “Drago” non incendieranno più il prato del Meazza, ma il suo cuore rimarrà per sempre nerazzurro.
L’attaccamento viscerale di “Deki” alla maglia dell’Inter traspare anche da dettagli come questo. O come l’esultanza di Parma nel 2008, quando in lacrime si inginocchia davanti alla curva in trasferta, stremato e felice dopo un’altra battaglia vinta. Stankovic è uno dei giocatori più amati dai tifosi nerazzurri proprio perché con loro ha condiviso gioie e dolori, sconfitte e resurrezioni, dalle stagioni avare di successi ai trionfi del triplete. Una scalata cominciata con i gol a Milan (da calcio d’angolo) e Juventus nei primi mesi interisti e culminata con la notte di Madrid: il coronamento di un sogno coltivato fin dal giorno del suo debutto, a 16 anni, nella Stella Rossa di Belgrado.
Il pomeriggio del 22 aprile 2007 tutti i giocatori in campo stanno guardando verso l’area di rigore del Siena, dove Marco Materazzi sta per battere il rigore che può regalare il 15esimo scudetto all’Inter. Dejan Stankovic, però, proprio non ce la fa e come il più sofferente dei tifosi si gira verso Iván Córdoba, prima dell’abbraccio liberatorio e dei festeggiamenti per il suo primo tricolore in nerazzurro.