Il sorpasso si completa da lì a tre settimane. A quel punto diventa solo una questione di tempo prima che la matematica tinga lo scudetto di nerazzurro. Alla terzultima giornata l’Inter batte 5 a 0 il Foggia e, complice la sconfitta del Milan a Bologna, si laurea campione d’Italia per l’undicesima volta. La stagione successiva l’ex allenatore della Primavera sfiora anche la Coppa Campioni arrendendosi in finale solo all’Ajax di Johann Cruijff. Ma non importa, perché nella storia dell’Inter, ormai c’è di diritto anche la firma in calce di Giovanni Invernizzi.
Con Invernizzi la musica cambia totalmente. Dell’Inter è già stato un calciatore. Viene soprannominato simpaticamente “Robiolina”, per via della sua famiglia, famosa per la produzione di formaggi. Instaura un rapporto con i giocatori basato sul dialogo e la fiducia reciproca. E con il passare delle partite, quella che doveva essere una soluzione pro tempore si trasforma in una cavalcata epica che ha il sapore dell’impresa. Rientrano Bedin, Jair e Mariolino Corso che, insieme al cannoniere Boninsegna, fanno viaggiare l’Inter a ritmi da rullo compressore: 21 punti sui 24 a disposizione, prima della decisiva rivincita coi cugini rossoneri del 7 marzo 1971 nel derby di ritorno. L’Inter si impone per 2 a 0 con le reti di Corso e Sandro Mazzola portandosi ad un solo punto dal Milan capolista.
È l’8 novembre del 1970 quando l’Inter perde malamente il derby 3 a 0. È solo la quinta giornata di campionato, ma la distanza dalla vetta è già di cinque punti. Troppi per le ambizioni dei nerazzurri. Così il presidente Fraizzoli decide di dare una scossa all’ambiente: il paraguaiano Heriberto Herrera viene esonerato e sulla panchina dell’Inter arriva l’allenatore della Primavera, Giovanni Invernizzi. Troppi, infatti, i malumori nello spogliatoio nerazzurro a causa del pugno di ferro di Herrera e, soprattutto, dell’esclusione dalla rosa, già ad agosto, di tre colonne della Grande Inter: Gianfranco Bedin, Jair Da Costa e Mario Corso.