I derby di Nyers e gli aneddoti che li circondano sono leggenda. L’ultimo che gioca, nel 1953, lo vince da solo: una tripletta per farsi perdonare le esose richieste contrattuali, a causa delle quali il presidente Masseroni lo ha messo fuori squadra. Quattro anni prima, in un’altra stracittadina, una doppietta da ricordare: è il 6 novembre 1949, l’Inter perde 4-1 al 19’, ma si impone 6-5 in una partita epica. In tribuna, per la prima volta nella sua vita, c’è un bambino di quattro anni e mezzo. Si chiama Massimo Moratti e, quel giorno, l’apolide del gol segna anche per lui.
Nyers deve però prima scappare a Praga (su un camion militare) e giocare nel campionato cecoslovacco, in attesa che Herrera lo porti a Parigi, beffando anche la polizia. Per la fuga dall’Ungheria, István perde la cittadinanza, in un’Europa dilaniata dai conflitti etnici, ed è ufficialmente apolide: il suo nome diventa “Etienne” in Francia e “Stefano” quando arriva all’Inter, nel 1948. Ma la sua carta d’identità la mostra in campo: accelerazioni fulminanti, tecnica circense, tiro implacabile sia di destro che di sinistro. E tanti gol: saranno in tutto 133, che gli valgono il settimo posto nella classifica all-time dei goleador nerazzurri. Tra le vittime preferite, c’è il Milan, punito per 11 volte: solo Giuseppe Meazza ha fatto meglio nella storia.
Nel gioco del calcio, la classe è un passaporto straordinario, i gol una lingua universale che abbatte i muri e valica le frontiere. Lo insegna la storia di István Nyers, francese di nascita e ungherese d’origine; attaccante senza nazionalità e calciatore di livello mondiale. A scoprire il suo talento è un allenatore ugualmente cosmopolita, il cui nome è indissolubilmente legato ai colori dell’Internazionale: Helenio Herrera. Nel 1946, il “Mago” allena lo Stade Français e gli basta una partita dell’attaccante con la nazionale magiara per innamorarsi.