Il lieto fine è dietro l’angolo: la bambina guarisce completamente e Nicolás può tornare a Milano, con un motivo in più per ripagare l’affetto di tifosi e società. Lo fa in modo esemplare, lottando strenuamente in ogni partita, rimediando colpi, botte e persino un pugno sul volto in un agitato post-partita. Si toglie parecchie soddisfazioni: scudetti, Coppe Italia, Supercoppe. Ma nessuna vittoria vale quanto quella ottenuta al fianco di Angelina.
Nell’estate 2004 l’Inter acquista un difensore dal Boca Juniors: è giovane, ma ha già vinto tanto, affermandosi sia nel club che nella nazionale argentina Under 20. Un oro olimpico, e un mondiale di categoria con l’Albiceleste, tre coppe Libertadores e due Intercontinentali con gli Xeneizes sono il biglietto da visita di Burdisso, carico per l’avventura in nerazzurro. Dopo pochi mesi, però, arriva la notizia che sconvolge la sua vita: la piccola Angelina ha una leucemia linfoblastica acuta. Nicolás non ci pensa due volte: né il nuovo contratto né la carriera possono tenerlo lontano da Buenos Aires, dove la figlia si sottopone alle cure anti-tumorali. A sostenerlo, comunque, c’è la grande famiglia dell’Inter. Il presidente Moratti, da sempre esempio di generosità sconfinata, gli dice di prendersi tutto il tempo necessario; l’allenatore Mancini gli riserva un posto nella lista per la Champions; i compagni lo aspettano e lo sostengono a distanza.
Il calcio è la più importante delle cose meno importanti, come sostiene chi di pallone se ne intende. E ci sono situazioni in cui lo sport passa in secondo piano e l’agonismo deve cedere il passo alle priorità della vita. È successo a Nicolás Burdisso, costretto ad affrontare il più temibile degli avversari, una leucemia diagnosticata alla figlia di due anni.